DOLOMITI KM0
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Il mobilificio IVO FONTANA supporta il progetto km0

16/12/2018

 
Anche il noto e prestigioso mobilificio IVO FONTANA di Ponte Nelle Alpi supporta il progetto di Dolomiti-Km0 Valcomelico richiedendo per le festività natalizie ottanta pacchi dono assortiti con le specialità ed i prodotti tipici offerti da questo circuito che sta raccogliendo sempre più adesioni e supporto da parte di molte aziende e produttori.
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Un sostegno al progetto pilota della valcomelico

7/12/2018

 
I prodotti del CIRCUITO KM0 della Valcomelico si fanno conoscere in Emilia a seguito di un'iniziativa di solidarietà sociale avviata dall'azienda reggiana SABART specializzata nella distribuzione di ricambi e accessori per il settore forestale.
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La Regione Veneto sostiene il km0

6/12/2018

 
Si chiama Progetto Chilometro Zero l’operazione con cui Coldiretti Veneto vuole convincere mense, chef e grande distribuzione a proporre ai consumatori preferibilmente prodotti stagionali del territorio.
Dietro al termine km zero – mutuato dal protocollo di Kyoto – c’è il tentativo di cambiare stile di vita ricordando che se pranziamo con il vino australiano, prugne cilene e carne argentina spendiamo in termini energetici più di quel che ingurgitiamo.
Far volare il vino e far navigare la carne contribuisce in modo significativo all’emissione di anidride carbonica, mentre cibarsi in modo energicamente corretto (con prodotti locali) permette di risparmiare decine di chili di petrolio.
Accorciare le distanze significa dunque aiutare l’ambiente, promuovere il patrimonio agroalimentare regionale e abbattere i prezzi.
Accade già nei mercatini agricoli distribuiti su quasi tutto il territorio regionale dove le tipicità vengono vendute senza intermediazioni, niente imballaggio e nessun costo di conservazione.
E’ anche questo il motivo del successo dei distributori automatici di latte, sempre più diffusi perchè favoriscono l’acquisto consapevole e la sicurezza del prodotto rintracciabile.

Solo in Veneto esiste un circuito di ristoratori che si son impegnati a servire “menù a km zero” ovvero pasti realizzati con ingredienti provenienti dalle campagne circostanti.
Amministrazioni pubbliche stanno orientando i bandi per le mense scolastiche secondo i criteri prioritari individuati dalla proposta di legge di iniziativa popolare sostenuta da Coldiretti.

Grazie a 25 mila firme raccolte in 4 mesi, il “km zero” è una Legge Regionale, la n. 7 del 25 Luglio 2008, la prima a livello nazionale del genere, che riconosce le mense collettive, la ristorazione privata e i supermercati che adottano la produzione enogastronomia veneta nella misura percentuale dal 30 al 50 percento.
Coldiretti Veneto ha fatto una proposta di legge per la quale sono state raccolte 25 mila firme in pochi mesi.
Il testo di legge prevede la presenza di alimenti tipici, legati al territorio, nelle mense collettive di asili nido, scuole di ogni ordine e grado, ospedali, residenze per anziani e nei menù della ristorazione.
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sostenibilità deI prodotti a filiera corta - Km0

4/12/2018

 
Il mercato e le politiche commerciali delle grandi multinazionali del cibo aumentano la distanza geografica tra il produttore e il consumatore. Ecco perché le nostre tavole accolgono una sovrabbondanza di cibo standardizzato, coltivato in media a 2000 chilometri di distanza.L’area di produzione degli alimenti deve tornare a essere coincidente o quasi con i luoghi in cui gli stessi venivano consumati, per tutelare la tradizione culinaria locale e per abbattere la soglia dell’inquinamento ambientale.
Tornare a un atteggiamento di ricerca del cibo nelle aree geografiche locali di produzione induce a un riequilibrio degli usi alimentari e a un rapporto con il territorio non esasperato dalla produzione intensiva.
La vendita di cibo nei supermercati, in una realtà centralizzata e isolata, raggiungibile spesso solo con la macchina denuncia l’impossibilità del consumatore di essere educato a scegliere e a usare il cibo. Nei supermercati gli alimenti sfilano sotto gli occhi delle persone tutto l’anno, con pochissime variazioni stagionali, con una disponibilità assolutamente sovradimensionata per il singolo compratore. Ciò non avviene nei mercati in cui il consumatore instaura un contatto diretto (fisico e visivo) con il cibo, raramente confezionato e quasi mai fuori stagione.

La diffusione dei prodotti a filiera corta o a chilometro zero è una politica economica mirata alla gestione della produttività locale e alla rivalutazione di un sistema produttivo di qualità. Si definisce a chilometro zero il cibo che viene prodotto e venduto nello stesso luogo (o poco distante), in cui la compra/vendita è gestita dal produttore senza passare per uno o più intermediari.
Per esempio, nella filiera agroalimentare la frutta e la verdura vengo coltivate da un agricoltore, lavate e pulite da una seconda azienda, confezionate in un altro stabilimento e da questo con un’azienda trasportatrice vengono distribuite nei vari ingrossi alimentari. Quando questa merce non arriva dall’estero, comunque non è soggetta alla vendita diretta perdendo così la freschezza e la qualità di un prodotto appena colto.

Ovviamente la società e le nostre abitudini alimentari, tarati su un apporto nutrizionale proveniente da una dieta varia, non ammettono in assoluto il sistema commerciale a chilometro zero. Non è pensabile che le banane, o rimanendo in ambito nazionale il Parmigiano Reggiano e il pomodoro pachino, vengano consumati solo dagli abitanti delle strette aree limitrofe, quanto invece è possibile e necessario ridurre drasticamente i trasporti delle derrate alimentari. L’Italia è produttrice di una grande varietà di mele, nei supermercati però vengono vendute anche quelle provenienti dalla Cina, prodotte a 8.100 chilometri (Food Miles) di distanza. Così pure per le arance spagnole (1.800 chilometri), il grano ucraino (1.675 chilometri) o canadese (6.727 chilometri), gli asparagi peruviani (10.000 chilometri) e il kiwi neozelandese (18.600 chilometri).

Su questo tema c’è chi ritiene che la distribuzione commerciale crei ricchezza, vietando quindi il traffico alimentare ai popoli si sottrae loro la disponibilità di cibo, oltre al fatto che non sia eticamente corretto che olio italiano possa fare il giro del mondo mentre questo viene impedito, per esempio, al vino cileno o all'uva sudafricana. Bisogna riconoscere che non tutte le aree del nostro pianeta producono cibo a sufficienza per sfamare le popolazioni autoctone, quest’ultime devono essere sostenute nell'approvvigionamento delle risorse alimentari. Questo però non il caso dell'Italia. Proprio perché l'Italia è in grado di fornire cibo alla popolazione insediata, garantendo una dieta varia e un apporto nutrizionale bilanciato, non è necessario incrementare le importazioni alimentari nel nostro territorio ma sviluppare i mercati locali per la distribuzione di cibi freschi e di qualità.
Secondo l’Aci, nel 2012 in Italia l’85,5 per cento del trasporto delle merci è avvenuto su strada con autocarri. L’uso di veicoli gommati comporta l’incremento dei consumi dei carburanti, la congestione del traffico, l’inquinamento atmosferico e acustico e anche una cospicua percentuale di perdita dei prodotti. Ciò avviene su qualsiasi prodotto, ma sulla commercializzazione del cibo è intollerabile.
Le emissioni di CO2 delle arance che arrivano su strada dalla Spagna rilasciano nell’atmosfera 245 KgCO2, l’aglio pakistano compie 3.300 chilometri emettendo 1.185 KgCO2 per viaggio aereo. I dati Istat riportano che solo nel 2013 sono arrivate in Italia 1miliardo di tonnellate di merce da tutto il mondo. La somma dei trasporti per tutti paesi del mondo lasciano solo immaginare quante emissioni inquinanti ogni anno vengono rilasciate nell’atmosfera.
 
La globalizzazione e i liberi mercati degli agricoltori sono un fenomeno che difficilmente avrà un’inversione di marcia, almeno non a breve termine. Frenare il traffico alimentare è possibile perché è una scelta che ognuno di noi può fare singolarmente, producendo effetti benefici per tutti. In un report del marzo 2014, Coldiretti afferma che la compra/vendita di prodotti a chilometro zero nei mercati degli agricoltori è aumentata del 67 per cento a fronte di un calo del 4 per cento delle vendite a causa della crisi.  Al giorno d’oggi pensare a una distribuzione del cibo solo a chilometro zero è una ideologia radicale poco applicabile a un contesto globale. Il pianeta ha bisogno di una cura concreta e unitaria contro l’inquinamento e contro la malnutrizione.

Scegliere un’alimentazione quanto più possibile a chilometro zero è sostenibile, restituisce agli agricoltori la gestione della filiera alimentare e ci nutre con prodotti più sani. I vantaggi sono per tutti, pianeta compreso.
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    "mangiare meno, mangiare meglio...ma sopratutto mangiare SANO !"

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